Giovanni Lorusso può essere definito un artista completo e poliedrico. Pittore, scultore e architetto ha maturato una esperienza artistica che lo vede sempre impegnato in una ricca quanto travagliata ricerca in continua evoluzione.
Sin da giovanissimo a soli sedici anni iniziò a scolpire il legno d’ulivo con una tale maestria che gli ha permesso di plasmare la materia tanto da far nascere delle creature - i suoi mostri - che incarnavano tutto il sudore, la fatica e l’angoscia esistenziale della sua terra natia : la Puglia.
La Puglia dei contadini della Murgia e dei tanti Giovanni, Michele, Antonio tutti figli di questa terra con la quale intrattiene un rapporto quasi amoroso. Corpi dilatati, allungati, trasfigurati esprimono tutta la tensione della materia che tenta uno slancio liberatorio; grovigli di corpi avvitati su se stessi, piegati, quando non schiacciati dal peso delle umane sofferenze si annichiliscono man mano che il flusso altalenante delle sue emozioni lascia il posto alla quiete creatrice. E’ da questo momento in poi che i corpi cominciano a perdere sempre più la loro definizione, appaiono sempre più tozzi e informi; l’artista non scava più il legno per far emergere la sua scultura ma semplicemente lo leviga, lo accarezza, portando alla luce le sue venature, forse per non oltraggiarlo ancora.
La sintesi di questa sperimentazione viene raggiunta, agli inizi degli anni Ottanta, con la rinuncia dell’artista alla scultura del legno e con la sua completa immedesimazione con il tronco d’ulivo testimoniata da una creazione fotografica in cui egli stesso viene incorporato nel tronco ancora vegeto.
La fotografia, definita dall’artista “scultura di luce”, rappresenta, dunque, da un verso, il compimento della sua esperienza scultorea esperita su materiali naturali e, al tempo stesso, l’inizio di una serie di nuove sperimentazioni giovanili con le quali senza dubbio egli precorreva ed anticipava gli utilizzi degli attuali strumenti tecnologici riconoscendone tutte le potenzialità comunicative nonché dislocanti.
Questa sperimentazione scaturisce da una creatività e da una mobilità intellettuale che non si lascia ingabbiare dagli schemi rigidi della fotografia tradizionalmente intesa, seppur intrisa di un suo valore artistico, ma al contrario è tutta tesa a recuperare uno spazio visivo più complesso e articolato: in esso si evidenzia il percorso storico della memoria, dei ricordi e dei vissuti esperienziali che si intrecciano e si avvicendano in un impetuoso turbinio di emozioni e di memorie di emozioni. Così come avviene nel sogno in cui si fondono immagini reali ad altre fantastiche, elementi simbolici di città vengono accostati ad immagini consuete recuperate da un vissuto quotidiano giungendo alla composizione di una nuova visione certamente falsa e menzognera ma forse più vera poiché più vicina al ricordo che abbiamo di essa.
Di tutte le sue opere fotografiche non esiste alcun negativo: esse sono, appunto, uniche e irripetibili nel loro genere. Sono state create attraverso una fusione ed una sovrapposizione di immagini e di fasci di luce che fluivano e prendevano forma nel buio della camera oscura e rimosse - come i ricordi a cui rimandano – attraverso l’abrasione di alcune parti e di messa a nudo di altre vivificate da sapienti virate di colore.
Per esprimere i suoi contenuti emozionali l’artista, inoltre, spazia attraverso la pittura, la grafica per giungere alle moderne tecniche digitali che gli permettono una rielaborazione delle immagini grafiche e fotografiche da lui stesso create che completano e meglio esplicano le tematiche che nel tempo è andato elaborando. Nella pittura egli sperimenta un tipo di ricerca che avrà forte influenza su tutta la produzione artistica successiva. Questa si connota per un astrattismo tutto incentrato sulle geometrie e le forme che si accostano e si combinano in un gioco di colori che esprimono una spiccata plasticità e forte senso materico.
” Biforcazioni” è, appunto, il titolo di una sua raccolta di dipinti e disegni dove egli sperimenta percorsi alternativi che partendo da una radice comune si diramano in maniera del tutto casuale dando vita a esiti nuovi ed imprevisti nella sua produzione artistica: punti di arrivo che diventano punti di partenza, nodi che originano reti immaginarie e che sono a loro volta terminali di altre reti e nodi. Ciò, in un susseguirsi all’infinito fino alla completa trasfigurazione del segno in qualcosa di puramente simbolico che, perciò stesso, si carica di forti contenuti emozionali, anche per un uso del colore che a volte esalta i contrasti ed altre gioca sui cromatismi non mancando di emozionare anche il più passivo e distratto fruitore delle sue opere.
La trasformazione continua e ripetuta del segno e del disegno è, dunque, la cifra della sua sperimentazione artistica che dà il senso della intensità emotiva insita nel processo creativo.
L’esperienza maturata nel campo architettonico, poi, ha notevolmente caricato di contenuti questa sua costante ricerca: volumi che si intersecano, si sovrappongono, si accavallano, frammenti di architetture che si sedimentano e si snodano per divenire “altro”. Dunque, blocchi non stereometrici ma continuamente pervasi da un fluire di energie e di forze che destabilizzano l’intera composizione. Sono accumuli di memorie che evocano immagini primitivo-primordiali legate ad un immaginario simbolico fortemente suggestionante come la casa – caverna e che si trasformano in agglomerati recanti “equilibri instabili” con punti di vista e di fuga ogni volta diversi.
Questa, insieme alla ricerca incentrata attorno ai volti ed alla figura umana che si ritrova nella scultura, danno inizio ad un percorso di “costruzione” di identità ed appartenenza a dei luoghi simbolo, nonché di evoluzione e di crescita sempre maggiori.
Ma, uno sguardo attento a tutta la produzione artistica di Lorusso, non può fare a meno di individuare tutti gli elementi di continuità e, in primo luogo, notare quella che è l’essenza della dinamica del suo processo creativo e, dunque, di tutto il travaglio interiore esperito dall’artista nella realizzazione dei diversi generi espressivi: scultura - poi diventata di terracotta –, pittura e fotografia. Tutte le sue opere sono il frutto di ripetute situazioni di tensione, di incertezze e di crisi che portano all’emergenza di sempre nuove creazioni, nuovi “ordini” ogni volta più evoluti e che alludono ai fenomeni fisici e biologici dell’”emergenza” delle novità, che ritroviamo nella teoria della complessità e del caos.
In altri termini, l’opera - che in realtà è in continuo divenire - affiora, emerge e si concreta nell’attimo in cui viene raggiunto un benché minimo “punto di equilibrio” oltrepassato il quale ricade nel disordine più totale che prelude a nuove forme di apparente stabilità. Ciascun opera è come se immortalasse il preciso istante in cui per l’intervento di svariate e fortuite circostanze - per lo più sconosciute allo stesso artista - si attua un momento di svolta che porta alla manifestazione spontanea di un ordine e di una complessità nuovi e crescenti e, dunque, sempre più pregni di valore artistico.
Con un estremo tentativo di sintesi, possiamo dire che i tanti punti di equilibrio, snodi e biforcazioni, sono, per dirla con Borges, l’Aleph-zero, ossia ciò da cui si parte e a cui tutte le cose tendono e vi fanno ritorno.
Domenica Petrafesa
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